La sindrome di Chiari comprende un gruppo di complesse anomalie della fossa cranica posteriore, quella parte della scatola cranica dove sono contenuti il cervelletto e il tronco encefalico.
La nostra Unità Operativa ha acquisito negli anni grande esperienza nelle procedure di decompressione chirurgica in fossa posteriore, vista anche la alta frequenza di interventi eseguiti dalla nostra équipe in questa complessa regione cranica per altre patologie. La tecnica chirurgica che viene utilizzata per l’intervento di decompressione posteriore, infatti, risulta essere il primo passo che il chirurgo deve eseguire per la maggior parte degli interventi localizzati in fossa posteriore, ragione per cui tale procedura viene considerata routinaria ed è molto standardizzata dal punto di vista delle modalità di esecuzione tecnica (decompressione ossea seguita da plastica durale con microsutura a tenuta d’acqua a ricreare un’ampia cisterna magna).
I risultati dell’intervento sono buoni, in quanto è presente un miglioramento netto dei sintomi in circa l’80/85 % dei pazienti, mentre un’eventuale siringomielia diminuisce o scompare nella stragrande maggioranza dei casi. Sintomi molto avanzati, come forte debolezza muscolare, o alterazioni della sensibilità è più difficile che migliorino, ma nella maggior parte dei casi non progrediscono.
Il ricovero dura generalmente 3-4 giorni in assenza di complicazioni. Fra le complicanze ricordiamo: meningocele (vedi sopra), alterazioni della dinamica liquorale con conseguente ipertensione endocranica ed idrocefalo, instabilità cranio-cervicale, e in casi rari “cerebellar sag” (ptosi cerebellare) in cui il cervelletto, privato di una parte del suo supporto, si abbassa ulteriormente a richiudere la cisterna magna.
La sindrome di Chiari comprende un gruppo di complesse anomalie della fossa cranica posteriore, quella parte della scatola cranica dove sono contenuti il cervelletto e il tronco encefalico.
Per comprendere esaustivamente questo gruppo di patologie è fondamentale avere una, seppur semplificata, idea di cosa sia il liquido cefalo-rachidiano (o cerebro-spinale) e di come circoli nel sistema nervoso centrale.
All’interno del cervello è presente un sistema ventricolare (assimilabile ad un sistema idraulico di camere interne) dove è prodotto un liquido, il fluido cerebro-spinale, il quale scorre all’interno di queste camere, oltre a circolare attorno al cervello.
Anche nel midollo spinale è presente questo liquido. In particolare esso circola attorno al midollo e anche in un canale (canale midollare) interno al midollo stesso.
Per il sistema nervoso è fondamentale e imprescindibile un’ottima circolazione del liquido cerebrospinale, avendo esso la funzione di protezione meccanica da urti e traumi, ma anche di trasporto di nutrienti, sostanze di scarto. Le malformazioni di Arnold-Chiari sono associate ad un’erniazione (fuoriuscita di un viscere dalla cavità che normalmente lo contiene) del cervelletto e delle strutture attigue attraverso il Forame Magno, quel foro che collega il contenuto della scatola cranica con il canale cervicale spinale.
Durante gli esami di Risonanza Magnetica, ai quali si si sottopongono solitamente questi pazienti, si è soliti misurare in millimetri l’entità dell’erniazione dal forame Magno della parte più bassa del cervelletto (le cosiddette tonsille cerebellari).
L’erniazione provoca un blocco della normale circolazione del liquido cerebrospinale e comporta quindi una serie di segni e sintomi dovuti alla compressione delle strutture nervose che analizzeremo in maniera approfondita successivamente.
Le malformazioni di Chiari sono considerate malattie rare (<1% della popolazione). Attualmente l’incidenza sta aumentando a causa della disponibilità di esami di Risonanza Magnetica sempre di maggior qualità, che permettono la diagnosi della malattia anche in casi di lieve erniazione.
Per ragioni ancora non del tutto chiare queste malformazioni sono più frequenti nelle donne (frequenza tre volte maggiore).
Le malformazioni di Chiari, tradizionalmente, sono suddivise in cinque tipi, ai quali corrisponde un progressivo coinvolgimento delle strutture presenti in fossa cranica posteriore.
CHIARI 0: pazienti che non presentano alla Risonanza Magnetica un’evidente erniazione cerebellare (erniazione < di 5mm attraverso il forame Magno) ma che possono presentare sintomi ed avere siringomielia
CHIARI I (spesso identificata come sindrome di Chiari dell’adulto): pazienti in cui è presente un’erniazione cerebellare (in particolare della porzione inferiore del cervelletto, le cosiddette tonsille cerebellari) di almeno 5 mm attraverso il forame Magno.
Questo tipo di malformazione spesso viene diagnostica in seguito ai disturbi che il paziente lamenta e comunemente si associa a:
CHIARI II: pazienti che presentano un’erniazione anche del verme cerebellare (la porzione di cervelletto situata tra i due emisferi cerebellari, dx e sx, quindi una porzione più alta dell’organo) e della porzione inferiore del tronco encefalico con il quarto ventricolo (cavità presente nel tronco encefalico e nel cervelletto in cui scorre il liquido cefalorachidiano).
Questa malformazione spesso si presenta già alla nascita, in pazienti con difetti del tubo neurale (la struttura embrionale da cui nasce il midollo spinale), come ad esempio mielomeningocele ed encefalocele. Spesso in questa malformazione si trovano associati:
CHIARI III: è la malformazione più rara ma anche la più grave. I pazienti si presentano con encefalocele, associato alle altre caratteristiche trovate nella sindrome di Chiari II. La “sacca” di encefalocele contiene solitamente materiale di origine nervosa di forma e massa indefinita.
CHIARI IV: In questo caso non è presente erniazione cerebellare ma mancanza o ridotto sviluppo cerebellare. Si discute ancora se questo tipo di malformazione sia in effetti da inserire nelle Malformazioni di Arnold-Chiari o meno.
Sono molte le teorie che cercano di spiegare la patogenesi della sindrome di Chiari. Presentiamo qui una breve rassegna delle più importanti:
Concentreremo la nostra attenzione sulla sintomatologia associata alla sindrome di Chiari di tipo I e II, in quanto maggiormente frequenti.
CHIARI I: i segni e i sintomi associati alla malformazione di tipo I sono spesso da imputare a compressione di strutture neurali da parte delle tonsille cerebellari erniate attraverso il forame Magno, e alla presenza di una eventuale siringomielia.
CHIARI II: Anche in questo caso i segni e i sintomi sono da imputare alle cause esposte sopra.
Sono presenti però delle differenze che riportiamo sotto:
Il procedimento diagnostico comincia con un’accurata anamnesi, seguita da un esame obiettivo neurologico, volto ad evidenziare eventuali deficit neurologici.
L’esame che meglio permette una valutazione della sindrome di Chiari è la Risonanza Magnetica. Questo test fornisce al medico informazioni anatomiche dettagliate e permette una diagnosi accurata nella maggioranza dei casi. Nonostante ciò, molti pazienti con sindrome di Chiari rimangono oggi non diagnosticati e non trattati per molti anni. Nei casi dubbi lo studio RM può avvalersi di tecniche avanzate che analizzano la dinamica di circolo del liquido cerebrospinale.
Questi studi possono aiutare nella valutazione del flusso del liquido cerebrospinale nella zona del forame magno e possono mostrare ostruzioni da parte delle strutture nervose erniate.
Concentreremo la nostra attenzione sul trattamento della sindrome di Chiari di tipo 1, in quanto patologia maggiormente trattata nella nostra Unità Operativa.
Alcuni pazienti con sindrome di Chiari I sono asintomatici e spesso non richiedono un trattamento ma una condotta di follow-up attento. Alcuni sintomi della sindrome di Chiari I, come mal di testa e vertigini possono essere migliorati con una terapia medica, ma in questo caso il paziente non guarisce dalla malattia (l’erniazione è ancora presente).
Generalmente, quando i sintomi compromettono in maniera importante la qualità di vita dei pazienti o quando è radiologicamente evidente una condizione di siringomielia (vedi sopra) si pone indicazione ad un intervento di decompressione chirurgica della fossa posteriore. Il razionale della chirurgia nella sindrome di Chiari I consiste nel creare più spazio in fossa posteriore, comportando una diminuzione della compressione del tronco encefalico e una migliore circolazione del liquido cerebrospinale verso il midollo spinale cervicale, con conseguente miglioramento dei sintomi. Nella maggior parte dei casi il procedimento decompressivo migliora anche un’eventuale siringomielia, dal momento che si va a curare la causa della stessa.
Brevemente, il procedimento chirurgico prevede l’esecuzione di una craniectomia decompressiva in regione suboccipitale (una porzione di osso in regione nucale viene asportato) per dare modo alla fossa posteriore, compressa, di aumentare il suo spazio.
Nei pazienti che si presentano con idrocefalo, spesso si considera un intervento di derivazione ventricolo-peritoneale. Il razionale della procedura prevede di mettere in comunicazione, mediante un sistema di cateteri, i ventricoli cerebrali (dove è presente l’eccesso di liquido cefalorachidiano) e il peritoneo addominale, facilitando lo scarico del liquido cerebrospinale in eccesso dal cervello in cavità addominale, dove viene assorbito dall’organismo.
I sintomi possono essere generalmente correlati a disfunzioni del tronco encefalico e degli ultimi nervi cranici (disequilibrio, nistagmo, difficoltà alla deglutizione ecc.), disfunzioni cerebellari (incoordinazione, difficoltà nella articolazione della parola ecc.), sintomi dipendenti da una condizione di siringomielia (debolezza muscolare, parestesie, analgesia ecc.). Spesso come sintomo più frequente viene riportata un’ intensa cefalea sotto-occipitale in occasione di colpi di tosse, starnuti ed esercizio fisico.
Generalmente il ricovero per questa malattia dura circa 4-5 giorni in assenza di complicazioni. Escludendo il day-hospital per effettuare tutti gli accertamenti e gli esami pre-operatori, il paziente viene ricoverato il giorno antecedente a quello previsto per l’intervento. In seguito all’operazione il paziente viene monitorato al fine di verificarne la ripresa dopo l’intervento e per escludere la comparsa di complicanze (meningite, fistola liquorale, idrocefalo ecc). Una volta appurata la riuscita dell’intervento ed escluse complicanze acute, il paziente può tornare a domicilio per la convalescenza.
Un miglioramento netto dei sintomi avviene in più della metà dei casi operati e il tempo di ripresa dipende dalle condizioni di salute del soggetto, dalla sua capacità di recupero e dal rispetto delle prescrizioni mediche alla dimissione. In assenza di deficit significativi il paziente può riprendere progressivamente le sue normali attività, fino a ritornare dopo alcuni mesi a svolgere anche la propria attività lavorativa. La presenza di deficit neurologici sposterà questo evento a dopo il periodo riabilitativo ottimale per il recupero funzionale.
Informazione non disponibile
In seguito all’intervento viene di norma eseguito un esame radiologico per valutare l’adeguatezza della decompressione chirurgica. Se non sono presenti complicanze cliniche e radiologiche, il paziente viene dimesso ed eseguirà una RM di controllo a distanza per valutare la stabilità del quadro e l’assenza di problematiche a livello dell’ incisione chirurgica. Se il paziente ha eseguito un intervento di derivazione ventricolo-peritoneale, eventualmente verranno eseguite visite di follow-up, al fine di tarare la valvola sul valore più consono per la situazione clinico-radiologica del singolo paziente.
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