Ernia discale

Per erniazione s’intende, generalmente, la fuoriuscita di un viscere dalla cavità in cui è normalmente contenuto.
La fuoriuscita può avvenire attraverso un orifizio, un foro o un punto anatomico di debolezza che ha una resistenza minore del normale.

Tavola Anatomica

Esperienza del team

La nostra équipe chirurgica ha una vasta esperienza nel trattamento dell’ernia discale, con tempi di convalescenza e di recupero post-intervento molto rapidi. Generalmente il paziente viene mobilizzato già dal giorno dopo l’intervento e, nella maggior parte dei casi, fa ritorno al proprio domicilio il 2° giorno. Tutto ciò è reso possibile dalla tecnica microchirurgica che permette un’elevatissima precisione chirurgica e una riduzione importante del traumatismo subito durante l’intervento. La ripresa dell’attività lavorativa avviene gradualmente in seguito all’intervento.
Viene solitamente utilizzato un approccio anteriore con sostituzione del disco per la gestione della patologia discale cervicale.

Per quanto riguarda le ernie lombari, nel nostro Istituto è maggiormente utilizzato l’approccio chirurgico posteriore e lo svuotamento dello spazio discale evitando il più possibile l’utilizzo di mezzi di sintesi.

Comunque ogni paziente con ernia discale viene sottoposto ad indagini radiologiche precise e dettagliate che permettono di scegliere l’approccio migliore per ciascun paziente.

Che cos'è?

Per erniazione s’intende, generalmente, la fuoriuscita di un viscere dalla cavità in cui è normalmente contenuto.
La fuoriuscita può avvenire attraverso un orifizio, un foro o un punto anatomico di debolezza che ha una resistenza minore del normale.
In particolare, nell’ernia discale, il nucleo polposo normalmente contenuto all’interno della porzione fibrosa più esterna del disco intervertebrale, fuoriesce dalla sua posizione normale.

La colonna vertebrale dell’essere umano è composta da 33/34 vertebre (7 cervicali, 12 dorsali, 5 lombari, 5 sacrali, 4/5 coccigee), articolate una sull’altra per mezzo dei dischi intervertebrali e di due faccette articolari.

La funzione del disco può essere compresa facilmente immaginandolo come un cuscinetto ammortizzatore posto tra due vertebre permettendone la reciproca mobilità. Nella porzione posteriore della colonna vertebrale, sono presenti: il foro vertebrale, dove decorre il midollo spinale, ed i fori intervertebrali, dove decorrono le radici nervose.
Le radici nervose sono quelle strutture nervose che, partendo dal midollo spinale, proseguono fino a diventare nervi periferici.
Trasportano sia informazioni sensitive, sia ordini motori sia informazioni ed ordini del sistema nervoso involontario (vegetativo: per esempio pelle d’oca, vasodilatazione/vasocostrizione, ecc ecc).

Il disco è formato principalmente da due componenti:

– Un anulus fibroso, esterno e circolare, formato da tessuto elastico organizzato in più strati di fibre collagene
– Un nucleo polposo, interno e di consistenza gelatinosa, che svolge la vera e propria funzione di cuscinetto ammortizzatore. Tale struttura è in grado, infatti, di assorbire gli sforzi compressivi a carico della colonna vertebrale durante le normali attività quotidiane come il camminare, correre, sedersi ecc.

Con il passare dell’età, i dischi (ed in particolare la parte circonferenziale fibrosa) vanno incontro ad un processo di degenerazione a causa del continuo sforzo meccanico di compressione e rilascio esercitato su di essi. Si vengono a creare, così, microscopiche regioni di debolezza nell’anulus fibroso che lo rendono meno adatto al contenimento del nucleo polposo che tende quindi a fuoriuscire dalla sua normale posizione.
Tale patologia degenerativa interessa prevalentemente la regione lombare della colonna vertebrale e, in misura minore, la regione cervicale. E’ un evento eccezionale, invece, nella regione toracica.

Circa il 70-80 % della popolazione avverte nella propria vita almeno un episodio caratterizzato da lombo-sciatalgia (dolore in regione lombare con irradiazione alla regione glutea ed alla faccia posteriore della coscia e della gamba) o cervico-brachialgia (dolore cervicale irradiato al braccio), spesso causate da un’ernia discale.

Gli adulti in piena età lavorativa, tra i 20 e i 50 anni, sono maggiormente colpiti da ernia discale.
In Italia si calcola che durante la vita la prevalenza di questa patologia vari dall’1% al 5% della popolazione.

I fattori di rischio maggiormente coinvolti nella genesi dell’ernia discale sono:

 Sollevamento di carichi eccessivi, soprattutto se sollevati nella maniera scorretta (sfruttando la flessione del busto in avanti senza piegare completamente le gambe)
– Atteggiamenti posturali errati, soprattutto se mantenuti per lungo periodo (es. durante l’attività lavorativa)
– Deficit muscolari/legamentosi dorsali: il loro indebolimento e ipotrofia correlata all’età contribuiscono alla patogenesi delle ernie discali
– Condizioni di sovrappeso
– Fumo: il fumo è una condizione che potrebbe favorire l’usura del disco intervertebrale
– Fattori genetici: esistono per esempio situazioni di degenerazione discale precoce nell’infanzia
– Lesioni vertebrali di varia natura (su base traumatica, infettiva, infiammatoria, degenerativa).

A seconda dell’entità e delle caratteristiche della rotture dell’anulus si possono definire diverse sottocategorie di ernia discale:

– Protrusione discale (“bulging” discale): situazione in cui l’anulus fibroso risulta “sfiancato” ma le sue fibre non sono ancora interrotte
– Ernia contenuta: le fibre più esterne dell’anulus sono ancora intatte. Sono interrotte solo le più interne
– Ernia espulsa: tutte le fibre dell’anulus sono interrotte. L’eventuale rottura successiva del legamento che unisce le vertebre una all’altra e che si trova nella parte anteriore del canale vertebrale (il cosiddetto legamento longitudinale posteriore) classifica l’ernia come trans-legamentosa
– Ernia migrata: il frammento espulso ha superato sia l’anulus fibroso che il legamento longitudinale. Esso è quindi libero di migrare nel canale vertebrale.

Quali sono i sintomi

Gli stretti rapporti anatomici esistenti tra disco intervertebrale e radici nervose fanno sì che la protrusione del materiale discale comprima le radici nervose adiacenti causando infiammazione e dolore.
Nonostante ciò una buona parte delle ernie discali può restare asintomatica anche per lungo tempo.

La genesi della sintomatologia clinica è infatti dovuta all’estrinsecarsi dell’ernia in una direzione posteriore o postero-laterale relativamente alla posizione del disco intervertebrale, andando così a comprimere e irritare le strutture nervose site posteriormente (radici nervose e/o midollo spinale).
Il disco generalmente protrude in direzione posteriore e laterale per la presenza in sede mediana del legamento posteriore.
Quando l’ernia discale comprime le radici, il dolore è definito come “radicolare” e presenta delle caratteristiche tipiche come l’irradiazione nel territorio d’innervazione di quella specifica radice.
L’ernia discale agisce da fattore “irritante” sulla radice nervosa, sia per compressione diretta, sia perché è accompagnata da agenti infiammatori (che sono dei prodotti di degradazione delle proteine del disco stesso) che aumentano la sensazione dolorifica.
L’entità e la sede del dolore sono da riferirsi quindi al livello vertebrale dell’ernia discale, alla quantità di materiale fuoriuscito e alla sua localizzazione nel canale vertebrale con conseguente compressione delle radici nervose e/o del midollo spinale.
Più in particolare, l’ernia discale cervicale, (che più frequentemente colpisce i livelli C5-C6 e C6-C7) comporta generalmente:

– Cervicalgia (dolore cervicale)
– Brachialgia (dolore irradiato alle braccia e alle spalle)
– Dolori scapolari e nella regione toracica anteriore

L’ernia discale lombare (L4-L5 è il livello maggiormente colpito) si accompagna a:

– Lombalgia (dolore lombare)
– Dolore irradiato a glutei, cosce (nella parte posteriore configura la classica sciatalgia), gambe e piedi
– Difficoltà a mantenere la posizione eretta per lunghi periodi.

Questi disturbi da compressione sono di solito caratterizzati da una prima fase in cui sono comuni le parestesie (formicolii o punture di spilli), segno d’irritazione delle strutture nervose.
Subentrano, quindi, deficit sensitivi e motori che interessano i gruppi muscolari innervati dalla radice interessata.
I deficit muscolari, qualora si manifestino, rendono difficoltoso il cammino, la presa di oggetti e l’esecuzione di movimenti.
Altri deficit possibili, anche se meno frequenti, coinvolgono gli sfinteri, dando problemi alla minzione o alla defecazione.
Nel caso in cui sia presente una compressione a livello midollare possono insorgere altri disturbi motori e sensitivi, in questo caso più diffusi e importanti, in quanto vengono a essere compresse le vie nervose che passano nel midollo stesso.
Nel caso in cui il processo degenerativo fosse molto avanzato con un “bulging” discale importante è possibile che si creino delle alterazioni degenerative della colonna che comportano un restringimento del canale vertebrale (stenosi vertebrale).
In questi casi spesso i pazienti sperimentano la cosiddetta “claudicatio neurogena”, ovvero un dolore che è esacerbato dal movimento o dalla posizione eretta e diminuito per esempio nella posizione seduta, condizione che permette una maggiore mobilità e maggior agio del tessuto nervoso all’interno del canale vertebrale.

Come viene diagnosticato

Il procedimento diagnostico dell’ernia discale comincia con un’attenta anamnesi, compresa l’anamnesi lavorativa (la quale valuta se ci sono potenziali iper-sollecitazioni della colonna vertebrale nell’ambiente di lavoro) e con l’esame obiettivo, che permette, nella maggior parte dei casi, la localizzazione dell’erniazione.
La valutazione con esami radiologici inizia con una radiografia della colonna che generalmente può dare informazioni sull’allineamento delle vertebre e sugli spazi intervertebrali.
La radiografia con sequenze dinamiche, ovvero, eseguita in flessione e poi in estensione del segmento da indagare, fornisce importanti dati sullo stato dinamico della colonna, consentendo di diagnosticare eventuali scivolamenti e situazioni d’instabilità vertebrale.
La tomografia computerizzata (TC) è un esame utile poiché fornisce informazioni importanti riguardo le alterazioni degenerative presenti a livello della colonna e per programmare il migliore intervento per il singolo paziente.
Il gold standard nella diagnosi di un’erniazione di un disco intervertebrale è, però, la risonanza magnetica (RM).
La RM è molto utile per la valutazione dei tessuti molli e quindi anche dei dischi intervertebrali.
Con questo esame si possono avere importanti informazioni sull’entità e sulla direzione dell’erniazione discale e sull’eventuale compressione di strutture nervose.

Come viene trattato

Il trattamento conservativo dell’ernia discale riveste un ruolo fondamentale.
Diversi studi mostrano che circa il 50% dei pazienti possono presentare un miglioramento della sintomatologia con un trattamento conservativo della patologia senza ricorrere ad un intervento chirurgico.

Il trattamento conservativo si articola sull’utilizzo dei seguenti presidi terapeutici:

– Antinfiammatori non steroidei: risultano utili al paziente per alleviare il dolore. Tuttavia il loro utilizzo per tempi prolungati può dare effetti collaterali (gastrointestinali, cardiovascolari…)
– Farmaci oppiacei, antidepressivi, antiepilettici: questi vengono generalmente prescritti in situazioni di dolore resistente agli antinfiammatori non steroidei.
– Antinfiammatori cortisonici
– Rilassanti muscolari
– Fisioterapia: questo presidio terapeutico risulta fondamentale nel trattamento conservativo della patologia
Il fisioterapista stabilisce un programma di esercizi per il paziente che, se eseguito nelle modalità e nei tempi consigliati, spesso comporta importanti miglioramenti del quadro clinico. Con questa strada si tenta di rinforzare i muscoli del cosiddetto “core” e di renderli maggiormente elastici (muscoli addominali, obliqui, lombari e paravertebrali), in modo tale da alleviare il carico a livello del rachide e dunque anche dove è presente l’ernia
– Iniezioni epidurali di farmaci steroidei: il loro effetto è potente ma breve in durata, quindi spesso, se utilizzate, vengono associate a una terapia fisioterapica
– Agopuntura, TENS

Il trattamento chirurgico dell’ernia discale si rende necessario solitamente quando i sintomi diventano invalidanti per la qualità di vita del paziente e/o quando non si osservano sostanziali benefici dal trattamento conservativo della malattia dopo alcuni mesi di terapia conservativa (farmacologica e fisioterapica) ben eseguita.

La decisione di procedere ad un intervento chirurgico viene sempre ponderata in base all’età del paziente, alle sue condizioni cliniche preoperatorie, alle sue aspettative riguardo al trattamento e alla eventuale presenza di altre co-morbidità.
Il tipo di intervento chirurgico proposto al paziente dipende anche dalle condizioni della colonna e dalla gravità dell’ernia discale.
Esistono diverse opzioni:

– Micro-discectomia (il nome deriva dal fatto che per l’intervento viene utilizzato il microscopio operatorio): il razionale di questo intervento è quello di rimuovere il disco erniato tramite un piccolo accesso chirurgico che può essere eseguito tramite approcci ventrali o dorsali. Nella colonna cervicale si utilizza spesso un approccio anteriore. Con questo approccio il chirurgo si fa strada tra i muscoli anterolaterali del collo, e approccia la colonna vertebrale nella sua faccia anterolaterale ed attraversa e svuota il disco per raggiungere l’ernia. Durante tale procedura va posta particolare attenzione nell’evitare lesioni al nervo laringeo ricorrente, necessario per il movimento delle corde vocali e quindi alla fonazione.
Un’ alternativa all’approccio anteriore è quello posteriore che ha come obiettivo l’allargamento del forame di coniugazione, l’asportazione del frammento discale erniato senza svuotare il disco intervertebrale. La scelta tra i due approcci spesso viene effettuata in base a considerazioni clinico-chirurgiche paziente specifiche.
Anche per il trattamento delle ernie discali della colonna lombare esistono approcci sia anteriori che posteriori (più frequenti). Le procedure di micro-discectomia (eseguite in sala operatoria con l’ausilio del microscopio) sono generalmente ben tollerate e permettono di riprendere rapidamente una vita normale.
 Laminectomia vertebrale: questa procedura ha lo scopo primario di decomprimere il midollo spinale nel caso ci sia una condizione di stenosi del canale midollare (canale ristretto). In questa procedura viene rimossa la lamina vertebrale e il processo spinoso della vertebra.
Si può utilizzare a livello sia cervicale che lombare, rimuovendo qualora necessario, per ottenere una decompressione ottimale del canale, più lamine.
Come ogni intervento, anche quello per ernia discale comporta dei rischi.
Molte delle evenienze negative che possono occorrere vengono evitate con una diagnosi approfondita e una pianificazione attenta dell’intervento.
La principale complicanza è la persistenza del dolore successivamente all’intervento. Molto meno frequenti sono le lesioni durali, le infezioni, l’instabilità rachidea iatrogena (legata a procedura medica) e il danno alle strutture nervose limitrofe. Molto rari sono problemi a livello vascolare, a vescica e uretere.

Uno dei problemi correlati all’ernia discale è la sua possibilità di recidivare, in una percentuale che va dal 2 al 5% circa delle persone operate.

Pubblicazioni

Autori: Schiavolin S, Broggi M, Visintini S, Schiariti M, Leonardi M, Ferroli P.

Testata: Int J Rehabil Res

Autori: Ferroli P, Franzini A, Messina G, Tringali G, Broggi G.

Testata: Acta Neurochir (Wien)

FAQ - Domande frequenti

L’entità e la sede del dolore sono da riferirsi al livello vertebrale dell’ernia e alla quantità di materiale fuoriuscito con conseguente compressione e infiammazione delle radici nervose. Più in particolare, l’ernia discale cervicale comporta generalmente dolore cervicale e agli arti superiori mentre l’ernia lombare comporta generalmente dolore lombare, ai glutei e alle cosce, con possibilità di irradiazione fino ai piedi. Nel caso in cui sia presente una compressione a livello midollare possono insorgere altri disturbi motori e sensitivi, in questo caso più diffusi e importanti, in quanto vengono a essere compresse le vie nervose che passano nel midollo stesso.

Generalmente il ricovero per questa malattia dura circa 1-2 giorni. Escludendo il day-hospital per effettuare tutti gli accertamenti e gli esami pre-operatori, il paziente viene ricoverato il giorno antecedente a quello previsto per l’intervento. In seguito all’operazione il paziente viene monitorato al fine di verificarne la ripresa dopo l’intervento e per escludere la comparsa di complicanze (fistola liquorale, meningite, infezione, emorraggia ecc.). Una volta appurata la riuscita dell’intervento ed escluse complicanze acute, il paziente può tornare a domicilio per la convalescenza.

Il tempo di ripresa dipende dall’età del soggetto, dalle condizioni di salute preoperatorie, dalla sua capacità di recupero e dal rispetto delle prescrizioni alla dimissione. In assenza di deficit significativi il paziente può riprendere progressivamente le sue normali attività, fino a ritornare dopo alcuni mesi a svolgere anche la propria attività lavorativa. La presenza di deficit neurologici sposterà questo evento a dopo il periodo riabilitativo ottimale per il recupero funzionale. Generalmente la nostra Unità Operativa permette al paziente di alzarsi dal letto e camminare già il giorno successivo all’intervento. Molto spesso il paziente viene dimesso il giorno dopo l’intervento chirurgico.

Uno dei problemi correlati all’ernia discale è la sua possibilità di recidivare, in una percentuale che va dal 2 al 5% circa delle persone operate.

In qualche mese il paziente è capace di tornare ad eseguire tutte le attività che eseguiva prima dell’intervento. Molto utile, a tal fine, è un programma di riabilitazione specificamente programmato per il recupero post-intervento, che prevede di aiutare il paziente nel recupero della funzionalità motoria totale. In certi casi i pazienti, infatti, vengono indirizzati presso centri riabilitativi specializzati, che prendono in carico il paziente nel primo periodo postoperatorio. Nella maggioranza dei casi, però, il paziente può eseguire a domicilio tutti gli esercizi riabilitativi necessari per il recupero funzionale. Possono essere eventualmente programmate RM o TC nel follow-up nell’evenienza di complicanze o persistenza del dolore.