Si definisce aneurisma la dilatazione patologica di un vaso sanguigno arterioso o venoso.
Gli aneurismi endocranici venosi sono molto poco frequenti e per tale ragione non vengono qui trattati.
In Istituto vengono gestiti un centinaio di casi l’anno. Di questi dai 20 ai 30 circa vengono operati dalla nostra équipe (gli altri vengono trattati per via endovascolare o seguiti semplicemente senza chiudere l’aneurisma). Il planning pre-operatorio con l’utilizzo di angio-TC e ricostruzioni 3D, la neuronavigazione, l’utilizzo di sostanze e tecniche per facilitare il clippaggio degli aneurismi e la videoangiografia intraoperatoria con indocianina per il controllo dell’esclusione dal flusso della sacca aneurismatica e la preservazione del flusso cerebrale, sono alcune delle tecniche utilizzate dalla nostra Unità per garantire un risultato chirurgico ottimale.
Si definisce aneurisma la dilatazione patologica di un vaso sanguigno arterioso o venoso.
Gli aneurismi endocranici venosi sono molto poco frequenti e per tale ragione non vengono qui trattati.
Affronteremo quindi solo le problematiche correlate ad aneurismi arteriosi, estremamente più comuni (2-4% della popolazione).
In base alla loro morfologia si classificano in: aneurismi sacculari (o a bacca) e aneurismi fusiformi.
Negli aneurismi sacculari, i più frequenti a livello intracranico, è possibile identificare una sacca, la porzione sferica dilatata, e un colletto ovvero la parte di inserzione dell’aneurisma sul vaso di origine. [Fig.1 tipi di aneurismi].
Gli aneurismi fusiformi, invece, sono delle dilatazioni del vaso lungo il suo asse longitudinale.
Da un punto di vista eziologico gli aneurismi riconoscono varie possibili origini: traumi, infezioni, cause emodinamiche, infiammazione, genetica, aterosclerosi, etc.
Un normale vaso arterioso è assimilabile a un tubo la cui parete è formata da vari strati, dal più interno (quello a contatto col sangue e che delimita il lume, cioè lo spazio cavo, del vaso) si distinguono:
A separare questi strati troviamo due lamine elastiche formate da tessuto connettivo con fibre elastiche.
La lamina interna si colloca tra la tunica intima e media, mentre la lamina esterna si colloca tra la tunica media e l’avventizia.
I vasi intracranici presentano delle differenze anatomiche rispetto a quelli extracranici, mancano infatti della lamina elastica esterna.
La patogenesi degli aneurismi intracranici è multifattoriale: fattori genetici sommano i loro effetti a fattori acquisiti (fumo, ipertensione, diabete, processi aterosclerotici, processi infiammatori). Lo stress correlato al continuo flusso del sangue in aree dove la tortuosità del vaso o la presenza di una diramazione lo rende più vulnerabile ne determina infine l’insorgenza.
A livello delle biforcazioni la tonaca media è più sottile o manca del tutto e questo spiega come mai si localizzino prevalentemente in queste sedi. Nel 30% circa dei pazienti il risultato cronico di questi processi combinati porta alla formazione di aneurismi multipli.
Studi recenti hanno mostrato come circa il 10-12% degli aneurismi intracranici riconoscono una predisposizione genetica. La Sindrome di Ehlers-Danlos, la Sindrome di Loeys-Dietz, la Sindrome di Marfan, la Sindrome ADPKD (Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease), la sclerosi tuberosa e altre malattie genetiche sono associate con un più alto rischio di sviluppare un aneurisma. Sono stati anche identificati alcuni geni (5q, 17cen, 1p34.3-p36.13, 7q11, 19q13.3, Xp2) potenzialmente responsabili di una predisposizione familiare a sviluppare questa patologia.
Il reale problema di questa malattia è che in genere resta asintomatica fino alla rottura. Solo in casi rari si manifestano perché comprimono strutture adiacenti causando:
• paralisi del III nervo cranico (tipico degli aneurismi situati nel circolo posteriore), ovvero del nervo preposto all’oculomozione. Tale paralisi si manifesta con la deviazione laterale di uno dei due globi oculari e la difficoltà del soggetto nel muovere questo occhio. In associazione a ptosi palpebrale (occhio parzialmente chiuso) e midriasi (pupilla dilatata) non reagente alla luce nell’occhio colpito (che conduce a riduzione dell’acuità visiva)
• sintomi trigeminali, ovvero dolore acuto a livello della faccia nel territorio di innervazione di questo nervo
• paralisi del VI nervo cranico, che provoca uno strabismo convergente (deviazione del globo oculare verso il naso)
• paralisi del IV nervo cranico (visione doppia nello sguardo verso il basso, tipicamente quando il paziente scende le scale)
• nistagmo (movimento oscillatorio ritmico e involontario del globo oculare)
• vertigini
• nausea
• stato alterato di coscienza
• epilessia
In genere tali sintomi suggeriscono la presenza di aneurismi di grandi dimensioni.
Un’altra rara modalità di presentazione sono i sintomi neurologici causati dalla ostruzione temporanea o definitiva (eventi ischemici transitori o ictus) di vasi arteriosi dovuti al fatto che, il rallentamento del circolo all’interno di ampie sacche aneurismatiche, può condurre alla coagulazione del sangue all’interno della sacca stessa (trombosi). Se piccoli frammenti del coagulo si staccano e vengono trasportati dalla corrente ematica possono ostruire un’arteria (embolia).
La modalità di presentazione di gran lunga più frequente è purtroppo la rottura.
Il rischio di rottura può essere estremamente diverso da caso a caso e dipende da una moltitudine di fattori che devono essere valutati in ogni singolo paziente per decidere se il trattamento della malattia è più o meno pericoloso.
Nell’analisi del rischio che un aneurisma vada incontro a rottura vengono presi in considerazione fattori morfologici, come la forma, le dimensioni del colletto e della sacca, la presenza di protuberanze sulla sacca e la presenza di sacche polilobate, ecc.
In particolare, la presenza d’irregolarità sulla superficie della sacca e particolari conformazioni (quelle con un rapporto altezza/larghezza del collo ≥1.6) ,hanno un rischio aumentato di rottura.
Al momento attuale però il fattore principale per determinare il rischio di rottura di un aneurisma è la sua dimensione.
In un importantissimo studio multicentrico fatto sugli aneurismi non rotti (ISUIA) è stato evidenziato come il rischio di rottura sia direttamente proporzionale alle dimensioni della sacca aneurismatica.
Da questo studio si ricava, per i pazienti che non hanno mai avuto alcun episodio di emorragia sub-aracnoidea, un rischio vicino allo 0 per aneurismi piccoli (<7mm), del 2.6% per quelli tra i 7 e i 12mm di diametro ed infine di un rischio di circa il 14.5% per quelli con dimensioni comprese tra i 13 e i 24mm.
Aneurismi con lo stesso diametro ma situati nel circolo posteriore cerebrale hanno un rischio decisamente maggiore di rottura, che si attesta rispettivamente attorno ai 2.5%, 14.5% e 18.5%. Per i pazienti che hanno sviluppato in precedenza almeno un episodio di emorragia sub-aracnoidea il rischio è più alto con circa 1.5% di rischio annuo per aneurismi con dimensione <7mm.
La rottura di un aneurisma è un evento acuto che si manifesta con la comparsa di un’emorragia sub-aracnoidea (ESA).
I segni e i sintomi di questa condizione compaiono in maniera iperacuta con un mal di testa violentissimo (descritto dai pazienti come “il peggiore della loro vita”, la classica pugnalata) accompagnato da nausea e vomito, alterazioni dello stato mentale, rigidità nucale e perdita di coscienza.
Il 25% dei pazienti che si presentano con un’ESA hanno avuto nel periodo precedente l’episodio acuto dei mal di testa sentinella che si pensa essere legati all’ ingrandimento della sacca o a piccoli sanguinamenti. Essi si manifestano con sintomi simili a quelli di un’ESA ma sono di minor entità.
La principale e più grave complicanza a cui può andare incontro un paziente che ha sviluppato un’ESA è il vasospasmo, fenomeno di restringimento dei vasi cerebrali che può provocare una riduzione del flusso all’interno di tali vasi incompatibile con la vita dei neuroni (infarto cerebrale).
Il rischio di vasospasmo è massimo dopo il 5° giorno dall’emorragia e può sopraggiungere fino al 14° giorno dalla stessa.
Nell’emorragia subaracnoidea da aneurisma è un fenomeno comune (70% circa dei pazienti), ma che si manifesta clinicamente o provoca danni permanenti in una percentuale bassa di casi.
Dei pazienti che sviluppano un’ESA per la rottura di un aneurisma circa un terzo non sopravvive (a distanza di due settimane dall’evento), un terzo sopravvive con gravi deficit neurologici e un terzo recupera completamente uscendo indenne dall’evento.
Dopo il primo sanguinamento, il rischio di un nuovo sanguinamento è massimo nelle prime 24-48h, con un rischio di ri-rottura del 4% nelle prime 24h. In assenza di trattamento circa il 30% dei pazienti sperimenta un nuovo sanguinamento nelle due settimane successive.
Il percorso diagnostico varia a seconda che si parli di un aneurisma rotto o non rotto.
Gli aneurismi non rotti solitamente sono un reperto occasionale in corso di accertamenti per altre patologie, salvo nei casi di aneurismi grandi o giganti (che comprimendo le aree limitrofe possono provocare segni e sintomi della loro presenza).
L’angio-TC è sicuramente l’esame che fornisce la miglior visualizzazione dell’aneurisma, della sua forma, delle caratteristiche intrinseche della sacca e del colletto, dei rapporti con il vaso da cui origina e con i vasi limitrofi.
La possibilità di eseguire ricostruzioni 3D aiuta enormemente il chirurgo nel planning operatorio e nella scelta della via chirurgica di accesso all’aneurisma. L’angiografia negli aneurismi non rotti consente lo studio del flusso all’interno della sacca, lo studio e il riconoscimento di piccoli vasi che nascono dalla sacca stessa e può fornire informazioni dirimenti per la scelta del trattamento (endovascolare vs chirurgia). Nella diagnostica degli aneurismi non rotti la risonanza magnetica dell’ encefalo ha un ruolo minore, ma resta essenziale nella valutazione della condizione generale di salute dell’encefalo e nel planning operatorio.
Gli aneurismi rotti, come descritto in precedenza, si manifestano con quadri acuti e a questi pazienti viene eseguita spesso una TC encefalo d’urgenza che dimostra il sanguinamento. Lo studio può essere completato con l’esecuzione di un’angio-TC al fine di ricercare la causa del sanguinamento e visualizzare l’aneurisma. Nel contesto dell’urgenza di un aneurisma rotto l’angiografia può avere un ruolo diagnostico e terapeutico allo stesso tempo. Infatti il radiologo intervenzionale ha la possibilità di intervenire passando attraverso i vasi (trattamento endovascolare) per cercare di bloccare l’emorragia.
Le opzioni di trattamento per gli aneurismi intracranici, siano essi rotti o non rotti, sono principalmente due: la microchirurgia e il trattamento endovascolare.
Il trattamento di un aneurisma rotto è sempre indicato a meno di condizioni limite (età molto avanzata o condizioni gravissime).
Più difficile la scelta se trattare o non trattare in caso di aneurismi asintomatici, scoperti per caso.
Nel caso di piccoli aneurismi con caratteristiche morfologiche non preoccupanti e in soggetti senza fattori di rischio di rottura, si può optare anche per un atteggiamento conservativo di follow-up clinico radiologico seriato.
Tale problema è ancora largamente dibattuto nella comunità scientifica ed è oggetto di un nostro progetto di ricerca dedicato che si chiama ANEURISK.
Autori: Broggi M, Acerbi F, Ferroli P.
Testata: World Neurosurg
Autori: Acerbi F, Broggi M, Ferroli P.
Testata: World Neurosurg
Autori: Ferroli P, Nakaji P, Acerbi F, Albanese E, Broggi G.
Testata: World Neurosurg
Autori: Maderna E, Corsini E, Franzini A, Giombini S, Pollo B, Broggi G, Solero CL, Ferroli P, Messina G, Marras C.
Testata: Neurol Sci
Autori: Ferroli P, Bisleri G, Nakaji P, Albanese E, Acerbi F, Polvani G, Broggi G.
Testata: Minim Invasive Neurosurg
Gli aneurismi rotti si manifestano col quadro acuto di una emorragia sub-aracnoidea (ESA), con mal di testa lancinante, nausea e vomito, alterazioni dello stato mentale e perdita di coscienza. Gli aneurismi non rotti posso essere asintomatici o dare sintomi da effetto massa comprimendo le strutture circostanti (es. paralisi dei nervi cranici, ecc). Questo è comune solo nel caso di aneurismi molto voluminosi. Raramente si possono manifestare con sintomi dovuti a fenomeni ischemici cerebrali.
Gli aneurismi rotti, data l’insorgenza acuta dei sintomi, vengono trattati in urgenza ed il paziente che si reca al Pronto Soccorso viene ricoverato per essere trattato prima possibile per via endovascolare oppure per via chirurgica. Il decorso post-operatorio e quindi la durata del ricovero dipendono dall’entità dell’emorragia cerebrale che segue la rottura della sacca aneurismatica. Il paziente può necessitare di un periodo in terapia intensiva nel primo post-operatorio e se necessario può essere posto in un reparto di degenza ordinario dove iniziare la riabilitazione che proseguirà o in strutture apposite o al domicilio. Gli aneurismi non rotti, vengono trattati con procedure d’elezione, ovvero programmate. Generalmente il ricovero dura circa 4-5 giorni. Escludendo il day-hospital per effettuare tutti gli accertamenti e gli esami pre-operatori, il paziente viene ricoverato il giorno antecedente a quello previsto per l’intervento. In seguito all’operazione e all’assenza di problemi nel primi giorni post-operatori, il paziente può tornare a domicilio per la convalescenza.
Gli aneurismi rotti comportano un sanguinamento intracranico che può essere diverso per sede ed entità a seconda dei casi. Il periodo della convalescenza dipende fortemente da questi due fattori e dall’esito del trattamento in acuto. I pazienti con sanguinamenti massivi in aree importanti del cervello è probabile che sviluppino deficit neurologici che richiedano un periodo di riabilitazione più o meno lungo. E’ comune purtroppo che tali emorragie massive si accompagnino a gravi esiti permanenti. Gli aneurismi non rotti possono essere trattati in elezione e generalmente hanno un decorso post-operatorio molto migliore di quelli rotti. E’ raro infatti che vi siano complicanze dovute al trattamento. Ciò consente una rapida ripresa post-operatoria. I tempi della convalescenza sono quindi dettati dall’età del soggetto e dalle sue condizioni di salute pre-intervento. Normalmente i pazienti riprendono una vita normale dopo circa 3 settimane. Il tempo di ripresa dipende dalle condizioni di salute del soggetto, dalla sua capacità di recupero e dalla compliance alle prescrizioni alla dimissione. Gli aneurismi rotti solitamente si associano a deficit neurologici e in media ad una situazione di salute più compromessa. Ciò comporta un allungamento dei tempi di rientro a lavoro e alla vita quotidiana, il soggetto dovrà infatti affrontare un periodo di riabilitazione specifica per i vari deficit. Nei casi più gravi alcune funzioni potrebbero rimanere lese in maniera permanente. Gli aneurismi non rotti in genere non sono associati a deficit neurologici significativi, il paziente può quindi riprendere progressivamente le sue normali attività, fino a ritornare entro un mese a svolgere la propria attività lavorativa.
Gli aneurismi rotti vengono trattari in regime di emergenza-urgenz. In tale contesto il goal della terapia è fermare l’emorragia. Può capitare talvolta che l’esclusione della sacca aneurismatica non avvenga in maniera completa, potendo richiedere un ulteriore trattamento successivamente. Una volta completamente esclusa la sacca dal circolo, il rischio che se ne formi una nuova nello stesso punto è molto basso. Può tuttavia capitare che ne insorgano di nuovi in altre aree se permangono quelle condizioni che hanno portato allo sviluppo del primo aneurisma. Gli aneurismi non rotti, se trattati correttamente, non recidivano. Anche in questo caso la possibilità di riformazione della dilatazione aneurismatica nel medesimo punto è molto bassa. Possono comparirne di nuove se esistono condizioni predisponenti o legati allo stile di vita che non vengono corrette.
Gli aneurismi rotti possono comportate lo sviluppo di diversi deficit neurologici a seconda della sede e dell’entità del sanguinamento. Vengono quindi consigliate delle terapie riabilitative mirate a seconda del soggetto. Gli aneurismi non rotti di solito, invece, non si associano a deficit neurologici significativi, perciò normalmente i pazienti non necessitano di cure riabilitative ma possono rientrare direttamente al domicilio, guariti.
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